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SIGNIFICATO STORICO DELLA NECESSITÀ

B. Croce: La Storia come pensiero e come azione, IV

Il giudizio, nel pensare un fatto, lo pensa quale esso è, e non già come sarebbe se non fosse quello che è: lo pensa, come si diceva nella vecchia terminologia logica, secondo il principio d’identità e contradizione, e perciè logicamente necessario. Questo e non altro è il significato della necessità storica, contro cui si nutrono sospetti e perfino si tentano ribellioni, immaginando che voglia negare la libertà umana, laddove non nega se non l'inconcludenza logica. A conferma, si osservi che l’affermazione di quella necessità è posta, ed è di volta in volta ripetituta, contro l'introduzione in istoria del vietato “se”; non già del “se”, particella grammaticale, il cui uso è perfettamente lecito, e neppure di quel “se” che si adopera  per desumere dal caso storico un avvertimento o ammonimento l'oltrepassa, di carattere generale e astratto, come quanto s diice che se, nel luglio del 1914, gli uomini di stato di Germania o degli altri popoli avessero dominato i loro nervi, la guerra non sarebbe scoppiata, il che serve talvoltaa dare coscienza della gravita di certi atti improvvisi e a eccitare il sensu della responsabilità; — ma, proprio, del “se” storico e logico, ossia antistorico e illogico. Questo “se” divide arbitrariamente l'unico corso storico in fatti necessarî e fatti accidentali (lo divide proprio cosi, perché, ove concepisse tutti fatti come accidentali, la compattezza storica rimanerebbe intatta, tanto valendo “tutti accidentali” quanto “tutti necessarî”; e si argomenta di qualificare nei suoi racconti un fatto come necessario e un altro come accidentale, e allontana mentalmente questo secondo per determinare come il primo si sarebbe svolto conforme alla natura sua, se quello non l'avesse turbato. Giocherello che usiamo fare dentro noi stessi, nei momenti di ozio o di pigrizia, fantasticando intorno all'anda­mento che avrebbe preso la nostra vita se non avessimo incon­trato una persona che abbiamo incontrata, o non avessimo commesso uno sbaglio che abbiamo commesso; nel che con molta disinvoltura trattiamo noi stessi come l’elemento co­stante e necessario, e non pensiamo a cangiare mentalmente anche questo noi stessi, che è quel che è in questo momento, con le sue esperienze, i suoi rimpianti e le sue fantasticherie, appunto per avere incontrato allora quella data persona e com­messo quello sbaglio: senonché, reintegrando la realtà del fatto, il giocherello s'interromperebbe senz'altro e svanirebbe. Contro la fallace credenza che sopr'esso sorge, fu foggiato il proverbio popolare che del senno di poi sono piene le fosse. Ma poiché il giocherello, in istoria, è del tutto fuori luogo, quando si affaccia colà, stanca presto e presto si surette. Ci voleva un filosofo, un assai astratto filosofo, per scrivere un libro intero (Renouvier, Uchronie) al fine di narrare «le déve­loppement de la civilisation européenne tel qui n'a pas été, tel qui aurait pu être», sul convincimento che la vittoria politica della religione cristiana nell'occidente fu un fatto contingente, e che sarebbe potuta non accadere, ove si fosse introdotta una piccola variazione, gravida di conseguenze, alla fine del regno di Marco Aurelio e nelle fortune di Commodo, Pertinace e Albino!

Dalla necessità storica, nel significato logico che si è de­terminato, e che è il pensiero che sente la gravità del compito suo e non vuole lasciarsene distrarre correndo dietro a tra­stulli, bisogna tenere ben lontani due altri significati dello stesso vocabolo, e che sono due concetti erronei. L'uno è che la storia sia necessaria perché i fatti precedenti nelle serie determinano i susseguenti in una catena di cause ed effetti. Non si insisterà mai abbastanza su questa semplice e fondamentale verità, e pur difficile a cogliere da molti intelletti avvolti nelle ombre del naturalismo e del positivismo: che il concetto di causa (e anche qui, sebbene possa forse sembrare superfluo, avvertiamo che intendiamo del «concetto», e non del«vocabolo», il quale appartiene alla comune conversazio­ne), che il concetto di causa è e deve rimanere estraneo alla storia, perché nato sul terreno delle scienze naturali e avente il suo ufficio nell'àmbito loro. Né alcuno è riuscito mai, pratica­mente, a raccontare per adeguazione di cause ed effetti un qualsiasi tratto di storia, ma soltanto ha potuto aggiungere al racconto costruito con diverso metodo, ossia con quello che è spontaneo e proprio alla storia, l'impropria terminologia causalistica per far pompa di scientifismo. Ovvero altresi, e come conseguenza sentimentale di quel preconcetto deterministico, si è preso a raccontarla nel modo sfiduciato e pessimistico a cui l’uomo naturalmente si dispone quando la storia, invece di apparirgli come fatta da lui e da proseguire e innovare con l’azione sua propria, gli casca addosso simile a una valanga di sassi che rotolano da un alto monte e battono sul fondo e sulla sua persona, schiacciandola.

L'altro concetto si presenta nella forma capziosa della sentenzia: che nella storia c'è pure una logica; il che è indubi­tabile, perché, se la logica è nell'uomo, è anche nella storia, e, se il pensiero umano pensa questa, la pensa, come si è visto, logicamente. Ma la parola “logica”, nella suddetta sentenza, significa cosa ben diversa dalla logicità, un disegno o programma secondo il quale la storia s'inizierebbe, svolgerebbe e terminerebbe e che allo storico spetterebbe di ritrovare, sottosante ai fatti apparenti, nascosta matrice di questi fatti e ultima e vera loro interpretazione. Piti volte i filosofi hanno ragionato un disegno svolgendolo dal concetto dell’Idea, o da quello del Spirito, o, altresi, della Materia; senonché Idea, Spirito e Materia travestinvano in varie guise il Dio trascendante  che solo potrebbe idearlo e imporlo agli uomini e attendere a farlo eseguire. A questa, che è la forma nuda e schietta, giova dunque sempre ridurlo, e in questa principalmente considerarlo: forma che Tommaso Campanella diceva nei suoi sonetti, e senza nessuna intenzione satirica né burlesca, esser quella di un «comico fatal libro», di uno « sce­nario», quale egli lo vedeva usato ai suoi tempi dai direttori delle compagnie dei comici dell'arte per disegnare l'azione della commedia, assegnare le varie parti agli attori e far se­guire la recita; e che l'abate Galiani paragonava alla pratica, consueta ai bari, che giocano con «dés pipés», con dadi se­gnati. Come che sia, nemmeno una storia di questa sorta è stata mai da alcuno effettualmente raccontata; e l'imbarazzo dei suoi proponitori e propugnatori si scopriva già nella loro metodologia, per l'aggiunta e contradittoria loro richiesta che l'indagine dovesse attingere un disegno che è di là dalle testi­monianze e dai documenti, e però irraggiungibile per quella via; e, nel fatto, per l'uso di quelle testimonianze ora a sim­bolo ora a superfluo ornamento dell'asserzione che facevano delle loro credenze e tendenze e speranze e paure, politiche, religiose, filosofiche o altre che fossero e che battezzavano storia. Al pari della causalità, il Dio trascendente è straniero alla storia umana, che non sarebbe se quel Dio fosse: essa che è a sé stessa il Dioniso dei misteri e il «Christus patiens» del peccato e della redenzione.

Insieme con questa duplice falsa forma della necessità sparisce dalla storiografia l'altro concetto, che da quella deriva, della previsione storica; perché, se del programma divino era rivelato di solito l'atto ultimo (per esempio, la venuta del­l'Anticristo, la fine del mondo e il Giudizio universale), tutto il recto, intermedio tra il presente e quello, stava pure scritto nel libro della Provvidenza, e qualche tratto ne poteva essere per grazia rivelato a qualche pio uomo; e, per un altro verso, nella concezione causalistica la catena delle cause ed effetti proseguiva, e si poteva, calcolando, determinarne i futuri anelli. Praticamente, per altro, si confessava l'impossibilità del prevedere, nel primo caso riverenti all'imperscrutabile volontà divina, nel secondo smarriti dinanzi all'enorme complessità delle cause in giuoco: cosicché il fedele naturalista faceva, corne il naturalistico romanziere dei Rougon-Macquart, lo Zola, che, dopo aver costruito nel tronco e in tutti i rami e ramicelli l'albero di quella famiglia, sottomessa alla legge del­l'eredità, nel posto preparato a un bambine, che stava per na­scere non sapeva segnare altro che l'ironica interrogazione senza risposta: «Quel sera-t-il?». Nondimeno, la piega del prevedere persiste come abitudine nell'aspettazione di molti lettori di storia, e come dovere di dignità da parte di molti scrittori, e di chi si soddisfa in sfilate di immagini che non hanno alcuna sostanza, come si è detto, fuori dei personali timori e paure e delle personali speranze di chi le viene for­mando.

Alla necessità causalistica e a quella trascendente, che si celano l'una e l'altra sotto tante forme ingannevoli, dovreb­bero i difensori della libertà umana saldamente opporsi, e non già partire in battaglia, come sovente fanno, contro la neces­sità logica della storiografia, che è, invece, premessa di questa libertà. 

Ecrit par dcollin le Mardi 9 Avril 2013, 19:27 dans "Philosophie italienne" Lu 3284 fois. Version imprimable

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