Pareyson: Verità e interpretazione
Pensiero Espressivo E Pensiero Rivelativo - Introduzione 3
Ciò che caratterizza il pensiero rivelativo è dunque la completa armonia che vi regna fra il dire, il rivelare e l’esprimere: il dire al tempo stesso e inseparabilmente rivelare ed esprimere. Che la parola sia rivelativa è segno della validità pienamente speculativa d’un pensiero non dimentico dell’essere, e che la parola sia espressiva è segno della concretezza storica d’un pensiero non dimentico del tempo. Ora nel pensiero rivelativo la parola rivela la verità nell’atto che esprime la persona e il suo tempo, e viceversa. Il aspetto espressivo e storico non solo non va a scapito dell’aspetto rivelativo e teorico, ma piuttosto lo sorregge e lo alimenta, perché stessa situazione è prospettata come apertura storica alla verità intemporale. D’altra parte l’aspetto rivelativo non può fare a meno di quello espressivo e storico, perché della verità non si dà manifestazione oggettiva, ma si tratta di coglierla sempre all’interno d’una prospettiva storica, cioè d’un’interpretazione personale.
Ma quando la libertà cessa di reggere il vincolo originario di verità e persona, tutto si trasforma. La verità dilegua, lasciando il pensiero vuoto e disancorato, e scompare anche la persona, ridotta a mera situazione storica. L’armonia fra dire, rivelare ed esprimere si rompe, e tutti i rapporti ne risultano sconvolti e profondamente alterati. Rivelazione ed espressione si separano definivamente: senza verità, l’aspetto rivelativo della parola è puramente apparente, e si riduce a una razionalità vuota e priva di contenuto; non più riferita alla persona nella sua apertura rivelativa, ma alla situazione nella sua mera temporalità, l’espressione diventa inconsapevole e occulta. La natura della parola degenera e si sfalda: da un lato un discorso la cui vuota razionalità non si presta che a un’utilizzazione tecnica e strumentale, e dall’altro, mascherato dal discorso esplicito, il vero significato di esso, cioè l’espressione del tempo.
Giova seguire più da vicino questa peripezia per cui al pensiero ontologico si sostituisce il pensiero storico, al discorso speculativo il discorso espressivo, alla parola rivelatrice la parola strumentale. Separato dalla verità, il pensiero conserva, del suo carattere rivelativo, solo l’apparenza, cioè una vuota razionalità, i cui concetti debbono rinviare, per il proprio significato, all’altro aspetto del pensiero, cioè al suo carattere espressivo. Ma il divorzio fra la rivelazione della verità e l’espressione della persona, turbando l’intima costituzione della parola, produce uno sfasamento fra il discorso esplicito e l’espressione profonda: la parola dice una cosa, ma ne significa un’altra. Per trovare il vero significato del discorso bisogna considerare il pensiero non per quel che dice, ma per quel che tradisce, cioè non per le sue conclusioni esplicite, per la sua coerenza razionale, per l’universalità dei suoi concetti, ma per l’inconscia base che vi si esprime, cioè la situazione, il momento storico, il tempo, l’epoca.
Ciò implica una seconda conseguenza: l’identificazione del pensiero con la situazione. Il pensiero è in tal modo completamente storicizzato, perché non fa che esprimere la situazione storica e accettare d’esser valutato in base alla sua aderenza al tempo in cui sorge. S’apre la via al culturalismo, che fa rientrare tutto il pensiero in una generica storia della cultura, intesa a metterne in luce solo l’aspetto espressivo, senza pregiudizio del suo eventuale valore speculativo; al biografismo, che riduce il pensiero a un’espressione incomunicabile della situazione in cui ognuno sarebbe inesorabilmente murato come in una prigione invalicabile; allo storicismo più o meno spinto, che riduce tutto il pensiero a semplice espressione della situazione storica, negandogli la possibilità di uscire dal proprio tempo.
Assistiamo in tal modo a una terza conseguenza: l’intervallo che s’apre fra il discorso esplicito e l’espressione profonda è quello del mascheramento, cioè di quell’inconscia ingenuità o malafede per cui il pensiero assolutizza una situazione storica, dandosi l’aria di raggiungere una universalità speculativa, ma in fondo non facendo che esprimere la situazione nella sua mera temporalità. Il discorso concettuale del pensiero storico, che trascina sempre con sé contenuti di verità, sia pure degradati e svuotati, e che presuppone pur sempre un intento speculativo, sia pure frustrato e inevaso, non fa altro che dare un’apparenza di razionalità e di eternità a ciò che di fatto non è che pragmatico e temporale, cioè fornire la concettualizzazione di condizioni storiche e la razionalizzazione di atteggiamenti pratici.
Con ciò il pensiero storico manifesta la sua inevitabile destinazione pragmatica e strumentale: e questa è la quarta conseguenza che incontriamo, la quale viene chiaramente in luce nelle filosofie cosiddette demistificanti, come il prassismo pampoliticistico, che converte le ideologie da mere espressioni del tempo in congrui strumenti di azione, e le varie forme di sperimentalismo, che risolvono la funzione del pensiero nell’elaborazione delle più diverse tecniche razionali. Queste filosofie sono il recupero del razionalismo dopo la demistificazione del pensiero soltanto espressivo: il pensiero privo di verità, se vuole avere un significato razionale che non si riduca al mascheramento della situazione storica, non può non diventare ragione pragmatica e tecnica. Si conclude cosi la peripezia del pensiero soltanto espressivo e storico: la consapevole rinuncia alla verità culmina necessariamente nella deliberata accettazione della funzione esclusivamente strumentale del pensiero.
Traduction
Caractères de la pensée qui méconnaît le lien entre personne et vérité
Ce qui caractérise la pensée révélatrice est donc la complète harmonie qui y règne entre le dire, le révéler et l’exprimer : le dire dans le même temps et inséparablement révèle et exprime. Que la parole soit révélatrice est le signe de la validité pleinement spéculative d’une pensée non oublieuse de l’être, et que la parole soit expressive est le signe de la concrétisation historique d’une pensée non oublieuse du temps. Maintenant, dans la pensée révélatrice, la parole révèle la vérité dans l’acte qui exprime la personne et son temps, et vis-versa. L’aspect expressif et historique non seulement ne va pas au détriment de l’aspect révélateur et théorique, mais plutôt le fait surgir et l’alimente parce que la situation même est exposée comme ouverture historique à la vérité intemporelle. D’autre part l’aspect révélateur ne peut faire moins que l’expressif et l’historique, parce que de la vérité il ne se donne pas de manifestation objective, mais il s’agit de la saisir à l’intérieur d’une perspective historique, c’est-à-dire d’une interprétation personnelle.
Mais quand la liberté cesse de soutenir le lien originaire entre vérité et personne, tout se transforme. La vérité se dissipe laissant la pensée vide et dissociée, et disparaît aussi la personne, réduite à une pure situation historique. L’harmonie entre dire, révéler et exprimer se rompt, et tous les rapports s’en trouvent bouleversés et profondément altérés. Révélation et expression se séparent définitivement : sans vérité, l’aspect révélateur de la parole est purement apparent, et elle se réduit à une rationalité vide et privée de contenu ; non plus référée à la personne dans son ouverture révélatrice, mais à la situation dans sa pure temporalité, l’expression devient inconsciente et occulte. La nature de la parole dégénère et se clive : d’un côté un discours dont la rationalité vide ne se prête qu’à une utilisation technique instrumentale, et de l’autre côté, masquée par le discours explicite, la vraie signification de celui-ci, c’est-à-dire l’expression du temps.
Il est utile de suivre plus près cette péripétie par laquelle, à la pensée ontologique, se substitue la pensée historique, au discours spéculatif le discours expressif, à la parole révélatrice la parole instrumentale. Séparée de la vérité, la pensée conserve, de son caractère révélateur, seulement l’apparence, c’est-à-dire une rationalité vide, dont les concepts doivent renvoyer, par leur propre signification, à l’autre aspect de la pensée, c’est-à-dire à son caractère expressif. Mais le divorce entre la révélation de la vérité et l’expression de la personne, troublant l’intime constitution de la parole, produit un déphasage entre le discours explicite et l’expression profonde : la parole dit une chose mais en signifie une autre. Pour trouver la vraie signification du discours, il faut considérer la pensée non pour ce qu’elle dit mais pour ce qu’elle trahit, c’est-à-dire non pour ses conclusions explicites, pour sa cohérence rationnelle, pour l’universalité de ses concepts, mais pour la base inconsciente qui s’y exprime, c’est-à-dire la situation, le moment historique, le temps, l’époque.
Ceci implique une seconde conséquence : l’identification de la pensée avec la situation. La pensée est de cette manière complètement historicisée, parce qu’elle ne fait qu’exprimer la situation historique et accepter d’être évaluée sur la base de son adhérence au temps dont elle surgit. S’ouvre la voie au culturalisme, qui fait rentrer toute la pensée dans une histoire générique de la culture, entendue de façon à mettre en lumière seulement l’aspect expressif, sans préjudice de son éventuelle valeur spéculative ; au « biographisme », qui réduit la pensée à une expression incommunicable de la situation dans laquelle chacun serait comme emmuré dans une prison infranchissable ; à l’historicisme plus ou moins plus ou moins extrémiste, qui réduit toute la pensée à une simple expression de la situation historique, lui niant toute possibilité de sortir de son temps.
Nous assistons de cette manière à une troisième conséquence : l’intervalle qui s’ouvre entre le discours explicite et l’expression profonde est celui de la dissimulation, c’est-à-dire de cette ingénuité inconsciente ou de la mauvaise foi pour qui la pensée absolutise une situation historique en se donnant l’air d’atteindre une universalité spéculative, mais au fond en ne faisant qu’exprimer la situation dans sa pure temporalité. Le discours conceptuel de la pensée historique qui traîne toujours avec lui des contenus de vérité, bien que dégradés et évidés, et qui présuppose pourtant toujours une intention spéculative, bien que toujours neutralisé et laissé sans suite, ne fait rien d’autre que donner une apparence de rationalité et d’éternité à ce qui de fait n’est que pragmatique et temporel, c’est-à-dire fournir la conceptualisation des conditions historiques et la rationalisation des attitudes pratiques.
Avec ceci, la pensée historique manifeste son inévitable destination pragmatique et instrumentale :et ceci est la quatrième conséquence que nous rencontrons, laquelle vient clairement en lumière dans les philosophies dites démystifiantes, comme dans le « praxisme » pan-politiste qui convertit les idéologies de pures expressions du temps en moyens adéquats d’action, et les différentes formes d’expérimentalisme qui résolvent la fonction de la pensée dans l’élaboration des techniques rationnelles les plus diverses. Ces philosophies sont le renflouement du rationalisme après la démystification de la pensée seulement expressive : la pensée privée de vérité, si elle veut avoir une signification rationnelle qui ne se réduise pas à la dissimulation de la situation historique ne peut pas ne pas devenir raison pragmatique et technique. Se conclut ainsi la péripétie de la pensée seulement expressive et historique : le conscient renoncement à la vérité culmine nécessairement dans l’acceptation délibérée de la fonction exclusivement expérimentale de la pensée.
Ecrit par dcollin le Vendredi 7 Mars 2014, 19:32 dans "Philosophie italienne" Lu 2964 fois.
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